Una tradizione di sapori che perdura nei secoli
Già nel III millennio a.c.nelle civiltà del Vicino Oriente quali Mesopotamia, Egitto, Palestina e più tardi in Grecia e a Roma; abbiamo testimonianze di un uso massiccio di aceti e mosti di uva, di mele, di datteri e di fichi. Grandi quantità di aceto venivano usate per la conservazione del cibo sia come gradito condimento per poveri e ricchi sia come medicinale e infine restò fino all’età moderna l’acido più potente di cui disponesse l’uomo. Il mosto invece era sia bevuto fresco diluito nell’acqua, ma soprattutto veniva concentrato mediante bollitura essendo il dolcificante più utilizzato in antichità; infine nella cucina dell’antica Roma era usato, unito all’aceto forte, per ottenere il sapore agro-dolce in molti piatti. Nell’ambito di questa tradizione, ma in tempi a noi più vicini, deve essere collocata l’origine dell’aceto balsamico, avviatasi sfruttando particolari condizioni ambientali presenti in certi aree del Ducato estense.
Aceto Balsamico è sinonimo da tempo immemorabile di cultura e storia dell’antico Ducato Estense. Infatti la sua esistenza è dovuta alla concomitanza di particolari caratteristiche pedoclimatiche del territorio con il susseguirsi di avvenimenti storici che hanno forgiato la vita e il carattere degli abitanti. La grande produttività viticola della zona era ben conosciuta già al tempo dei Romani, che cuocevano i mosti trasformandoli in risorsa alimentare di grande importanza sia strategico-militare che economica. Ne parlavano Cicerone, Plinio e Virgilio, mentre Columella riconosceva un comportamento particolare dei mosti della zona che, anche dopo la cottura, tendevano nonostante tutto a fermentare ed acetificare (…solet acescere…). È lecito supporre quindi che del mosto cotto (Saba o Sapa), forse dimenticato, grazie ad un lungo processo di fermentazione ed invecchiamento abbia sviluppato quelle caratteristiche uniche ed inconfondibili che riconosciamo ancor oggi nell’Aceto Balsamico Tradizionale.
Già nell’anno 1046 d.C. il Re Enrico II di Franconia manifestava grande apprezzamento per l’aceto del Marchese di Canossa, ma è nei secoli a venire che innumerevoli documenti testimoniano in quale considerazione l’Aceto Balsamico Tradizionale sia sempre stato tenuto. Considerato come parte effettiva del patrimonio famigliare, veniva citato nei lasciti testamentari; era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali. Di rado era ceduto in dono ma, nel caso, era il regalo degno di “Re e Principi”; fu così che già dal Rinascimento il Balsamico delle Acetaie Estensi era rinomato ai più alti livelli delle aristocrazie europee. Non a caso nel 1792 un’ampolla di “Balsamico” fu il dono del Duca Ercole III a Francesco I d’Austria in occasione della sua incoronazione ad Imperatore. L’uso dal punto di vista gastronomico è testimoniato ancor oggi da ricette tramandate e consuetudini gelosamente conservate fra i segreti di famiglia. Quando poi nel 1863, per la prima volta, anche la scienza ufficiale si è interessata al nobile prodotto, le moderne analisi del Prof. Fausto Sestini evidenziavano nella sua pubblicazione “Sopra gli Aceti Balsamici del Modenese” le enormi differenze esistenti fra il Balsamico della tradizione e qualunque altro tipo di aceto: «…nelle province di Modena e Reggio Emilia si prepara da tempo antichissimo una particolare qualità di aceto a cui le fisiche apparenze e la eccellenza dell’aroma fecero acquistare il nome di Aceto Balsamico…».
Nel 1839 Il conte Giorgio Gallesio restò ammaliato dalle caratteristiche del Balsamico e ne descrisse le procedure di produzione nelle antiche acetaie del Conte Salimbeni, così come l’Avv. Aggazzotti, nel 1861, spiegava nelle sue lettere all’Amico Fabriani le antiche e segrete procedure della sua famiglia. Dal 1967 una associazione di appassionati e cultori del prezioso aceto, la “Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena”, con un lavoro intenso e costante di promozione, è stata determinante per la divulgazione del prodotto e per la sua selezione qualitativa. L’Aceto Balsamico Tradizionale è quindi uscito dai segreti delle soffitte e dalle gelosie “di Corte”, rivolgendosi al mondo come massimo rappresentante di storia, cultura e tradizione gastronomica degli antichi territori del Ducato Estense, le attuali Province di Modena e Reggio Emilia. Ancora oggi l’Aceto Balsamico Tradizionale, rispettivamente di Modena o di Reggio Emilia, è l’orgoglio delle due città.
Il metodo Agazzotti cominciò quindi a diffondersi tra i piccoli produttori modenesi e reggiani a partire dal 1860 ma questo metodo produttivo ha continuato a convivere a lungo con diverse "ricette" formulate sia per le piccole produzioni familiari che per le prime produzioni destinate alla commercializzazione le quali si rifacevano in qualche modo agli antichissimi procedimenti consistenti nell'utilizzare sàba con l'aggiunta di aceto di vino (Metodo Giusti). Si tratta indubbiamente di due prodotti diversi, per il riconoscimento e la regolamentazione dei quali si è dovuto affrontare un lungo e travagliato iter normativo che finalmente il 15 maggio 2000, almeno per il "balsamico" derivante dal "Metodo Aggazzotti", può dirsi compiuto con l'ottenimento della Denominazione di Origine Protetta (DOP) "Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
Sin dal XVII secolo la famiglia Giusti, antica dinastia di produttori di "aceti alla modenese", si era avvalsa di una ricetta che prevedeva l'impiego di mosto crudo, mosto cotto e aceto di vino, inserendosi così nel solco delle antiche preparazioni romane e medioevali a base di saba e aceto di vino. Una prima codificazione della ricetta è attribuita al conte Giorgio Gallesio il quale, in un prezioso manoscritto autografo compilato nel corso di una visita fatta nelle tenute modenesi dei conti Salimbeni nel settembre 1839, descrisse minutamente il metodo applicato nella produzione dell'Aceto Balsamico indicando la pratica di diluire con aceto forte un prodotto che sembra molto vicino all'aceto "tradizionale".
Nel 1861 la famiglia Giusti presentò un aceto balsamico di novanta anni all'Esposizione italiana di Firenze, appena divenuta capitale provvisoria del Regno d'Italia; il prodotto, per il quale i Giusti furono premiati con una medaglia al merito, era riconducibile alle preparazioni che prevedevano la mescolanza di mosto cotto, aceto di vino e aceto forte e fu ufficialmente identificato dai produttori come "balsamico".