Come e quando nasce la nostra piccola acetaia.

 Acetaia “il vitigno”

All’inizio era una stallina dove il nonno Desiano accudiva con tanto amore un po’ di mucche e qualche maialino, con questi pochi animali poteva far fronte alle necessita’ sue e di sua moglie Imelde, ma il nonno Desiano non aveva solo da accudire la stallina degli animali,  aveva anche tanta passione per la terra e per “il vitigno”  che una volta era di quelli tradizionali con le classiche “tirelle” e si vendemmiava tutta a mano con gli scaletti e sul carro. Verso il 2007, con le nuove “mode” e tecnologie, anche il nonno Desiano decise di sostituire la vecchia vigna con ” il vitigno” ancora oggi esistente e sempre rigoglioso di buona uva.

Ecco spiegato il nome della nostra piccola acetaia “il vitigno” , la continuazione della tradizione dei nonni e il  portare avanti questi impegni verso la nostra cara amata terra che tanto produce.

“Il vitigno” di oggi, sostituisce la vecchia vite nata negli anni ’60, e predisposta per la vendemmia a mano perche’ bassa e alla portata di tutti, tra le sue uve possiamo notare la Ancellotta, i lambruschi Salamino, Maestri, Grasparossa, da cui nasce il nostro MOSTO COTTO per l’acetaia “IL VITIGNO”.

Ma quali qualita’ hanno questi vitigni?

Lambrusco Salamino di Santa Croce – Deriva essenzialmente dall’omonimo vitigno, anche se è possibile, a livello di impianto del vigneto, la presenza di altri Lambruschi, Ancellotta. Il grappolo è piuttosto piccolo di forma cilindroconica, gli acini di grandezza non uniforme con buccia pruinosa blu-nerastra spessa e consistente. La produzione è ricca e costante. Ha colore rosso rubino carico, con spuma dagli orli violacei; il profumo è fresco, persistente, fruttato; gusto armonico, leggermente acidulo, con moderata alcolicità. Vino non impegnativo, ben si sposa con pasta asciutta e con arrosti di carne bianca o di maiale.

——————————————————————————————————-

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro – Come per il Lambrusco Salamino, la base ampelografica prevista all’impianto dei vigneti per il Lambrusco Grasparossa consente l’utilizzo di altri vitigni di Lambrusco. Il grappolo è spargolo di forma conica con acini sferoidali di colore blu scuro o nerastro, pruinosi, con buccia consistente e polpa mediamente succosa. Il vitigno è sufficientemente robusto e adatto a coltivazioni contenute, maturazione tardiva. Di colore rosso rubino intenso, con riflessi violacei, profumo vinoso intenso, fruttato, complesso; di sapore sapido, leggermente fruttato, con piacevole retrogusto amarognolo. Tra i Lambruschi DOP, è il più pieno e corposo, indicato per paste al forno, arrosti, salumi. La versione amabile può essere consumato come aperitivo o per accompagnare i dolci tipici di Modena.

______________________________________________________________

L’Ancellotta è un vitigno rosso della zona del Modenese i cui primi riferimenti storici risalgono al 1400, quando le venne attribuito questo nome grazie alla diffusione che la famiglia Lancillotti riuscì a dare a questo vitigno della famiglia del Lambrusco, dove attualmente rappresenta il 15 per cento del taglio del Lambrusco Reggiano, che viene per lo più esportato con notevole successo. Questa varietà di Lambrusco è quella più coltivata tra le sue simili della famiglia. Questo grazie ad un apporto qualitativo di grande livello sempre rispetto alle altre Lambrusco, tanto che se ne vinifica anche qualche vino in purezza. Oggi questa varietà trova molta popolarità in tutto il Reggiano e nelle aree limitrofe anche al di là del Po. È un vitigno molto vigoroso, con maturazione mediamente tardiva tra la fine di settembre e i primi d’ottobre, con grappoli medi e cilindrici e chicchi ben sferici, con consistente pruina sulla spessa buccia. Trova anche qualche ettaro in altre regioni, come il Trentino dove fu introdotto nel primo dopoguerra e poi via via nel nord est, in Puglia, in Sardegna e nelle altre regioni dell’Italia centrale. Incontra molta sensibilità alla botritizzazione e alla peronospora, ma è lo iodio la sua principale avversità.

______________________________________________________________

Il Lambrusco Maestri è un vitigno a bacca rossa parte della grande famiglia dei Lambruschi, appartenenti alla Vitis Vinifera e da non confondersi con la Lambrusca di provenienza americana. Quella europea invece era conosciuta già in epoca antica, storicamente coltivata in Emilia, oggi in particolare nelle provincie di Parma e Reggio Emilia, e negli ultimi anni anche in qualche zona del Meridione, dove viene apprezzata per la sua resistenza. I Romani ne ottenevano già all’epoca vini vivaci e freschi, da speziare e rendere ancora più aromatica.

In particolare il sottotipo del vitigno Lambrusco maestri si presenta con grappoli di medie dimensioni a forma cilindrica, con densità media, alati. Le bacche sono anch’esse di medie dimensioni, sferiche e con abbondante pruina sulle bucce coriacee, leggermente acide, il che le rende ottime nella produzione di vino frizzante. Il vitigno viene apprezzato per la sua ottima vigoria e resistenza, oltre all’adattabilità a quasi tutte le condizioni pedo-climatiche della penisola. È inoltre un vitigno molto fertile, espanso e molto rigoglioso.

L’Aceto Balsamico e La Sua Storia.

Una tradizione di sapori che perdura nei secoli

Già nel III millennio a.c.nelle  civiltà del Vicino Oriente quali Mesopotamia, Egitto, Palestina e più tardi in Grecia e a Roma; abbiamo testimonianze di un uso massiccio di aceti e mosti di uva, di mele, di datteri e di fichi. Grandi quantità di aceto venivano usate per la conservazione del cibo sia come gradito condimento per poveri e ricchi sia come medicinale e infine restò fino all’età moderna l’acido più potente di cui disponesse l’uomo. Il mosto invece era sia bevuto fresco diluito nell’acqua, ma soprattutto veniva concentrato mediante bollitura essendo il dolcificante più utilizzato in antichità; infine nella cucina dell’antica Roma era usato, unito all’aceto forte, per ottenere il sapore agro-dolce in molti piatti. Nell’ambito di questa tradizione, ma in tempi a noi più vicini, deve essere collocata l’origine dell’aceto balsamico, avviatasi sfruttando particolari condizioni ambientali presenti in certi aree del Ducato estense.

Aceto Balsamico è sinonimo da tempo immemorabile di cultura e storia dell’antico Ducato Estense. Infatti la sua esistenza è dovuta alla concomitanza di particolari caratteristiche pedoclimatiche del territorio con il susseguirsi di avvenimenti storici che hanno forgiato la vita e il carattere degli abitanti. La grande produttività viticola della zona era ben conosciuta già al tempo dei Romani, che cuocevano i mosti trasformandoli in risorsa alimentare di grande importanza sia strategico-militare che economica. Ne parlavano Cicerone, Plinio e Virgilio, mentre Columella riconosceva un comportamento particolare dei mosti della zona che, anche dopo la cottura, tendevano nonostante tutto a fermentare ed acetificare (…solet acescere…). È lecito supporre quindi che del mosto cotto (Saba o Sapa), forse dimenticato, grazie ad un lungo processo di fermentazione ed invecchiamento abbia sviluppato quelle caratteristiche uniche ed inconfondibili che riconosciamo ancor oggi nell’Aceto Balsamico Tradizionale.

Già nell’anno 1046 d.C. il Re Enrico II di Franconia manifestava grande apprezzamento per l’aceto del Marchese di Canossa, ma è nei secoli a venire che innumerevoli documenti testimoniano in quale considerazione l’Aceto Balsamico Tradizionale sia sempre stato tenuto. Considerato come parte effettiva del patrimonio famigliare, veniva citato nei lasciti testamentari; era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali. Di rado era ceduto in dono ma, nel caso, era il regalo degno di “Re e Principi”; fu così che già dal Rinascimento il Balsamico delle Acetaie Estensi era rinomato ai più alti livelli delle aristocrazie europee. Non a caso nel 1792 un’ampolla di “Balsamico” fu il dono del Duca Ercole III a Francesco I d’Austria in occasione della sua incoronazione ad Imperatore. L’uso dal punto di vista gastronomico è testimoniato ancor oggi da ricette tramandate e consuetudini gelosamente conservate fra i segreti di famiglia. Quando poi nel 1863, per la prima volta, anche la scienza ufficiale si è interessata al nobile prodotto, le moderne analisi del Prof. Fausto Sestini evidenziavano nella sua pubblicazione “Sopra gli Aceti Balsamici del Modenese” le enormi differenze esistenti fra il Balsamico della tradizione e qualunque altro tipo di aceto: «…nelle province di Modena e Reggio Emilia si prepara da tempo antichissimo una particolare qualità di aceto a cui le fisiche apparenze e la eccellenza dell’aroma fecero acquistare il nome di Aceto Balsamico…».
Nel 1839 Il conte Giorgio Gallesio restò ammaliato dalle caratteristiche del Balsamico e ne descrisse le procedure di produzione nelle antiche acetaie del Conte Salimbeni, così come l’Avv. Aggazzotti, nel 1861, spiegava nelle sue lettere all’Amico Fabriani le antiche e segrete procedure della sua famiglia. Dal 1967 una associazione di appassionati e cultori del prezioso aceto, la “Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena”, con un lavoro intenso e costante di promozione, è stata determinante per la divulgazione del prodotto e per la sua selezione qualitativa. L’Aceto Balsamico Tradizionale è quindi uscito dai segreti delle soffitte e dalle gelosie “di Corte”, rivolgendosi al mondo come massimo rappresentante di storia, cultura e tradizione gastronomica degli antichi territori del Ducato Estense, le attuali Province di Modena e Reggio Emilia. Ancora oggi l’Aceto Balsamico Tradizionale, rispettivamente di Modena o di Reggio Emilia, è l’orgoglio delle due città.

Il metodo Agazzotti cominciò quindi a diffondersi tra i piccoli produttori modenesi e reggiani  a partire dal 1860 ma questo metodo produttivo ha continuato a convivere a lungo con diverse "ricette" formulate sia per le piccole produzioni familiari che per le prime produzioni destinate alla commercializzazione le quali si rifacevano in qualche modo agli antichissimi procedimenti consistenti nell'utilizzare sàba con l'aggiunta di aceto di vino (Metodo Giusti). Si tratta indubbiamente di due prodotti diversi, per il riconoscimento e la regolamentazione dei quali si è dovuto affrontare un lungo e travagliato iter normativo che finalmente il 15 maggio 2000, almeno per il "balsamico" derivante dal "Metodo Aggazzotti", può dirsi compiuto con l'ottenimento della Denominazione di Origine Protetta (DOP) "Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
Sin dal XVII secolo la famiglia Giusti, antica dinastia di produttori di "aceti alla modenese", si era avvalsa di una ricetta che prevedeva l'impiego di mosto crudo, mosto cotto e aceto di vino, inserendosi così nel solco delle antiche preparazioni romane e medioevali a base di saba e aceto di vino. Una prima codificazione della ricetta è attribuita al conte Giorgio Gallesio il quale, in un prezioso manoscritto autografo compilato nel corso di una visita fatta nelle tenute modenesi dei conti Salimbeni nel settembre 1839, descrisse minutamente il metodo applicato nella produzione dell'Aceto Balsamico indicando la pratica di diluire con aceto forte un prodotto che sembra molto vicino all'aceto "tradizionale".
Nel 1861 la famiglia Giusti presentò un aceto balsamico di novanta anni all'Esposizione italiana di Firenze, appena divenuta capitale provvisoria del Regno d'Italia; il prodotto, per il quale i Giusti furono premiati con una medaglia al merito, era riconducibile alle preparazioni che prevedevano la mescolanza di mosto cotto, aceto di vino e aceto forte e fu ufficialmente identificato dai produttori come "balsamico".

La Mostra di Oggetti Contadini

La nostra acetaia ospita una piccola mostra di strumenti antichi usati nelle campagne del dopoguerra. Tra questi, potrete trovare:

  • Un tagliafieno per sminuzzare il fieno in modo uniforme.
  • Un forcone per girare o raccogliere l’erba.
  • Un segone da legno per tagliare tronchi d’albero.
  • Un giogo per attaccare mucche o cavalli all’aratro.
  • Botticelle e tinelli del primo Novecento, utilizzati per conservare vino o aceto.
  • Un bidoncino del latte degli anni ’50 e uno per il carburante, usato dalle truppe tedesche.
  • Un estirpatore di barbabietole e una base in legno su cui si poggiava il filarino.

Questa mostra accompagna il visitatore in un viaggio nel tempo, creando un’atmosfera che rende ogni visita una vera e propria esperienza.